Lessico difficile


Note grammaticali


Trascrizione

In Italia, oggi, sono 5 milioni e 422mila gli stranieri residenti, corrispondenti al 9,2% della popolazione totale, come riportato dall'Istituto Nazionale di Statistica. Il dato è aggiornato al 1° gennaio 2025. 5 milioni e mezzo di stranieri su una popolazione totale di 59 milioni.

Dal 58° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, apprendiamo inoltre che, nel 2023, i nati da almeno un genitore straniero sono il 21,3% del totale: quindi un neonato su cinque. Gli alunni stranieri, con cittadinanza non italiana, iscritti nelle scuole nell’anno scolastico 2023/2024 rappresentano l’11,6% del totale; le coppie con almeno un componente straniero sono il 10,1%; e sono oltre un milione i minori stranieri residenti in Italia: l’11,8% del totale.

Questi dati, sulla presenza degli stranieri in Italia e sull’incidenza della componente migrante sulla popolazione totale, ci inducono a interrogarci sulla questione dell’accoglienza. Le domande che ci poniamo sono: come vivono gli italiani la presenza di così tanti stranieri in Italia? Si tratta di una presenza vissuta positivamente, valorizzata, soltanto accettata, appena tollerata o, invece, perfino sgradita? In altre parole, quello che ci stiamo chiedendo è: l’Italia di oggi è un Paese razzista, o no?

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Dicevamo: l’Italia è un Paese razzista? Questa domanda, che regolarmente fa capolino nelle aule della politica, nelle aule scolastiche, nei media tradizionali e nei nuovi media, non è affatto una domanda dalla risposta netta. È difficile, se non impossibile, affermare che un intero Paese sia razzista o che non lo sia. È possibile invece scomporre la domanda generale in una serie di micro-domande più specifiche:

Quante sono le persone che in Italia coltivano sentimenti razzisti?

Con quale forza?

Contro chi?

Attraverso quali comportamenti si manifesta il loro razzismo?

Quali sono gli ambiti di convivenza sociale in cui si annidano maggiormente le disuguaglianze? Lavoro? Scuola? Abitazione? Cittadinanza?

Quali sono le contromisure all’intolleranza e alla discriminazione? Cosa si fa, concretamente, per arginare il razzismo?

Ecco, per tentare di rispondere a queste domande, non possiamo non partire da una definizione della questione. Non possiamo, cioè, non chiederci: ma di cosa parliamo, esattamente, quando parliamo di razzismo?

Dunque, alla base del razzismo c’è l’idea che non tutti gli esseri umani abbiano uguale valore, e quindi che non tutti debbano avere gli stessi diritti e le stesse opportunità; si ritiene, al contrario, che gli umani vadano differenziati e gerarchizzati in base a fattori come il colore della pelle, la nazionalità, l’origine etnica, la cultura, la religione, perfino la lingua. Alla base del razzismo, quindi, c’è la convinzione che l’umanità sia divisa in gruppi, siano essi razziali, nazionali, etnici, religiosi o linguistici, alcuni dei quali vengono considerati biologicamente o culturalmente superiori ad altri.

Ricordiamolo, se fosse necessario: per la scienza contemporanea, è assolutamente scorretto parlare di “razze umane”, poiché sotto il profilo biologico, non è possibile identificare un individuo sulla base di un marcatore genetico che possa dividere l’umanità in razze. Proprio per questa ragione, in Italia, con il Decreto Legge 22 aprile 2023, n. 44 si è disposto che “negli atti e nei documenti delle pubbliche amministrazioni il termine: «razza» è sostituito dal seguente: «nazionalità»”.

Ottima mossa quella del Legislatore italiano. Ma siamo sicuri di essere stati sempre così “brava gente” noi italiani, come ci dipingono spesso fuori dall’Italia?